Quando parliamo di globalizzazione pensiamo subito alle profonde e irreversibili trasformazioni che ha portato con sé: un mondo con sistemi di commercio e comunicazione unificati; la possibilità di entrare in rapido contatto con culture di ogni tipo, nonché l’omologazione delle stesse; e l’interdipendenza economica, che ha reso i mercati globali strettamente legati, ma al contempo vulnerabili alle crisi sistemiche. Tuttavia, c’è un altro aspetto, un’opportunità, che la globalizzazione insieme alle odierne possibilità tecnologiche ci offrono sul piano politico, ma che ancora non cogliamo realmente: la possibilità di lavorare in sinergia come umanità tutta, smettendo finalmente di concepirci come nemici o rivali. Esistono tre termini importanti da conoscere per mettere a fuoco questa riflessione: glocalismo, localismo e globalismo. Essi designano tre modi molto differenti di concepire le relazioni tra umani sul piano globale, con conseguenze profondamente diverse sul piano della politica internazionale. In questo articolo inquadreremo tutti e tre gli approcci e vedremo perché quello glocalista esprime un potenziale maggiore rispetto agli altri due.
Indice
Introduzione
Tre approcci di governance a confronto

Nel mondo contemporaneo, termini come glocalismo, localismo e globalismo descrivono approcci distinti alle relazioni tra culture, economie e società. Vediamo brevemente la definizione, i vantaggi e gli svantaggi per ciascuno di essi:
- il localismo privilegia l’autosufficienza delle comunità, proteggendo tradizioni e territori, ma rischia l’isolazionismo;
- il globalismo, al contrario, promuove l’integrazione planetaria, spesso imponendo modelli standardizzati che minacciano la diversità locale;
- il glocalismo, invece, cerca un equilibrio tra queste visioni, agendo localmente con una prospettiva globale.
Comprendere queste differenze è fondamentale per riconoscere le implicazioni politiche di ciascun approccio e scegliere consapevolmente la strada da percorrere. Solo così potremo affrontare le sfide globali con una visione chiara e ambire a costruire una società gradualmente più equilibrata, capace di superare i vecchi paradigmi basati sulla rivalità, sull’individualismo sfrenato e sulla competizione distruttiva.
Perché è importante bilanciare le esigenze globali con le diversità locali
Andiamo subito al punto: bilanciare le esigenze globali con le diversità locali sta diventando fondamentale per affrontare sfide universali come transitare verso un mondo incentrato sulle rinnovabili, trovare soluzioni alle guerre e alle migrazioni e affrontare la povertà e le disuguaglianze, senza tuttavia sottovalutare l’importanza di preservare le autonomie locali e le differenze culturali. Nel modello “glocal” (parola che nasce dall’unione dei termini “globale e locale”) si “pensa globalmente e agisce localmente”, cercando di armonizzare valori universali con soluzioni contestualizzate. L’obiettivo è di evitare gli estremi: né un localismo miope che spesso può sfociare in un nazionalismo becero, incapace di rispondere a problemi globali, né un governo mondiale unico fondato sull’ideologia globalista, che rischierebbe di favorire derive autoritarie sostenute – oggi più che mai! – da un pervasivo controllo di stampo tecnocratico centralizzato e orwelliano.
Glocalismo: cos’è e come funziona
Origini e definizione del sistema politico glocal

Introdotto da Roland Robertson (Globalization: Social Theory and Global Culture, 1992), il glocalismo politico si fonda su un approccio sistemico coordinato, che opera attraverso una governance multilivello che integra le politiche internazionali con quelle nazionali e locali. L’interconnessione mediatica e le sempre più avanzate capacità di analisi dati offerte da sistemi digitali avanzati, consentirebbero un coordinamento gradualmente e auspicabilmente sempre più efficace. Grazie ad un dialogo costante, questo modello potrebbe permettere all’umanità di incanalarsi verso una maggiore sostenibilità complessiva, attualizzata tramite una governance partecipativa e incentrata sulla condivisione dei dati.
Il potenziale ruolo della tecnologia blockchain nella costruzione e sviluppo di una rete glocal
A differenza del passato, i problemi legati al monopolio dei dati in un coordinamento “a rete” potrebbero oggi essere mitigati grazie alla blockchain. Si tratta di una tecnologia decentralizzata che permette di salvare dati secondo un sistema di server a catena. Il suo vantaggio è quindi che risulta capace di eliminare la necessità di un’autorità centrale. Questo riduce sensibilmente il rischio di concentrazione di potere legato al monopolio dei dati.
Inoltre, la blockchain offrirebbe un chiaro sistema di tracciabilità e responsabilità nella gestione di risorse globali. Ne conseguirebbe, per esempio, che i fondi destinati a progetti ambientali o sociali sarebbero distribuiti in modo equo e monitorati in tempo reale. Tutte le parti coinvolte avrebbero accesso verificabile alle informazioni, grazie a un meccanismo di reale trasparenza.
Va precisato, tuttavia, che si tratta al momento ancora di un’area ancora emergente in fase di sviluppo.
La ricerca di equilibrio volta a superare le attuali polarizzazioni del pensiero politico
Il modello glocal offre l’opportunità di superare le polarizzazioni ideologiche tra conservatori e progressisti, spesso intrappolati nelle proprie retoriche che portano sovente a una limitata capacità di inquadrare le complessità dei problemi cui dobbiamo fare fronte. Sul tema delle migrazioni, per esempio, l’approccio glocal bilancerebbe le politiche globali con i piani locali, evitando sia un’apertura indiscriminata senza adeguati sistemi di integrazione, sia una chiusura radicale che ignora i drammi umani. Occorre infatti rendersi conto che entrambi gli estremi generano caos sistemico. Urge un’etica condivisa e una coordinazione internazionale, adattata alle capacità locali, per affrontare questa crisi così complessa con reale cognizione di causa e capacità di ottimizzazione degli sforzi comuni.
Quella sostanziale differenza tra glocalismo e globalismo: il caso delle tribù indigene in Amazzonia

Per chiarire meglio la differenza tra un approccio glocalista e uno globalista – che oltre alle rispettive forme di governance sottendono un diverso approccio mentale e relazionale – osserviamo ora come queste visioni influenzano il modo in cui le civiltà occidentali si rapportano con le tribù indigene dell’Amazzonia.
Il glocalismo in Amazzonia
Il glocalismo si manifesta in Amazzonia attraverso l’impegno di organizzazioni che collaborano con le tribù indigene per proteggere i loro territori e rispettare le loro tradizioni. Queste iniziative utilizzano tecnologie come il GPS e le comunicazioni radio per monitorare le aree protette e prevenire intrusioni o attività illegali. Tuttavia, a differenza di approcci più invasivi, non impongono modelli culturali esterni, ma si limitano a fornire supporto logistico e strumenti utili.
L’obiettivo è duplice: preservare la biodiversità e le risorse naturali dell’Amazzonia, fondamentali per il clima globale, e garantire l’autonomia delle popolazioni indigene. Le loro caratteristiche antropologiche e culturali vengono studiate con rispetto, spesso in modo indiretto, per evitare interferenze. Questo approccio, in sintesi, riconosce il ruolo cruciale delle comunità locali come custodi della foresta, valorizzando effettivamente il loro sapere tradizionale all’interno di una visione globale.
Il globalismo in Amazzonia
Il globalismo, al contrario, tende a percepire le comunità indigene come un ostacolo allo sviluppo capitalista, considerando l’Amazzonia un territorio da sfruttare per le sue ingenti risorse naturali. Non solo il legname, ma anche le ricchezze minerarie rendono l’Amazzonia un bersaglio industriale estremamente ambito. Tuttavia, questo approccio compromette sia la preziosissima biodiversità del territorio sia il diritto delle popolazioni autoctone all’autodeterminazione.
Da un punto di vista relazionale e culturale, si ravvisa in questa modalità una mentalità colonizzatrice che considera la natura non come un sistema complesso e interconnesso di cui l’essere umano dovrebbe sentirsi parte integrante, ma come un insieme di risorse da dominare a proprio vantaggio. Invece di rispettare e comprendere questi ecosistemi, l’approccio globalista li riduce a meri strumenti di profitto.
L’effetto boomerang: ignorando il globalismo il legame con la natura, la natura si ribella
Il risultato è una spirale di deforestazione, conflitti e l’erosione delle culture millenarie in nome di interessi economici globali. Insomma, un dramma umano e ambientale. E mentre per gli attori del globalismo questo dramma umano viene spesso giustificato dall’idea che “il progresso lo richiede”, la realtà ambientale si ribella con un effetto boomerang: come dimostrano i numerosi studi e report ormai disponibili sull’argomento, la deforestazione dell’Amazzonia altera i modelli delle precipitazioni, aumenta le temperature locali e peggiora la qualità dell’aria, con ripercussioni sia a livello regionale che globale.
Localismo e globalismo: quelle strane specularità tra i due modelli di pensiero

Vi è un altro motivo per cui la soluzione glocal emerge come la più equilibrata tra i modelli analizzati: essa rappresenta, relazionalmente parlando, una prospettiva capace di superare gli estremi. Per comprendere questa caratteristica, possiamo raffrontare localismo e globalismo, che, pur rappresentando poli opposti, condividono sorprendentemente alcuni tratti psicologici. Entrambi tendono infatti a semplificare la complessità del mondo con visioni rigide e monolitiche, che spesso originano schemi di controllo e polarizzazione, generando più danni che soluzioni.
Ecco i punti chiave per approfondire questa dinamica e comprendere perché il glocalismo offre un’alternativa più consapevole e bilanciata.
1. Propensione al pensiero binario
- Localismo: spesso contrappone “noi” contro “loro”, idealizzando la comunità locale e demonizzando tutto ciò che è esterno. Questo dualismo psicologico crea una narrativa di appartenenza esclusiva, che può portare al rifiuto di qualsiasi elemento percepito come “estraneo”.
- Globalismo: al contrario, cerca di uniformare il mondo sotto una visione universale, eliminando o marginalizzando le differenze culturali. Questo approccio tende a vedere le specificità locali come ostacoli o problemi da risolvere, favorendo una standardizzazione che nega la complessità delle realtà locali.
2. Bisogno di controllo
Entrambi gli approcci esprimono un bisogno psicologico di controllo:
- il localismo cerca di mantenere il controllo a livello comunitario, spesso attraverso il rifiuto di influenze esterne, che tuttavia ne comportano inevitabilmente una bieca incapacità di coordinamento su un piano globale;
- il globalismo, invece, punta a un controllo centralizzato e sistemico, applicando regole universali e ignorando spesso le peculiarità, con il risultato che può distruggere e cannibalizzare le diversità locali.
3. Possibile tendenza al totalitarismo
Entrambi, se e quando portati all’estremo, mostrano una propensione al totalitarismo:
- Localismo totalitario: si manifesta come un isolamento rigido, che può sfociare in nazionalismi aggressivi, protezionismo estremo e xenofobia. Questo tipo di localismo cerca di imporre un’omogeneità interna soffocante, negando diversità anche all’interno della comunità stessa.
- Globalismo totalitario: può portare a un’omogeneità culturale e politica forzata, imponendo un’unica visione del progresso, spesso legata agli interessi di poteri centralizzati. Questo approccio è a volte associato a modelli tecnocratici autoritari/repressivi e di ipercontrollo.
4. Repressione dell’alterità
In entrambi i casi, c’è una difficoltà psicologica ad accettare l’altro: il localismo rifiuta chi non appartiene alla comunità locale, mentre il globalismo tende a dissolvere l’identità dell’altro in un sistema uniforme, negandogli spazio per esprimere la propria specificità.
Conclusione
Una ricerca dinamica dell’equilibrio: la via del glocalismo
Il glocalismo si distingue dagli approcci localisti e globalisti proponendo un’alternativa più equilibrata e consapevole. Riconosce i meccanismi relazionali dei sistemi complessi in cui viviamo e affronta le sfide con una gestione dinamica, mirata a soluzioni bilanciate per i diversi livelli e attori coinvolti. Sul piano mentale, abbraccia la complessità e la flessibilità, rifiutando le rigidità dogmatiche che caratterizzano gli altri due modelli.
Il modello glocalista e la ricollocazione filosofica del concetto di “errore”
Implementare un sistema glocalista richiede sforzi considerevoli e un’apertura al riconoscimento e alla gestione costruttiva degli errori. Lungi dall’essere ostacoli, gli errori rappresentano in realtà preziose opportunità di apprendimento dinamico, purché non vengano strumentalizzati come accade nella logica della dialettica politica attuale, dove le parti si ostacolano reciprocamente per ottenere il potere.
Superare questo approccio falsificante, basato su un modello competitivo che sfrutta l’errore del rivale per fini strumentali, richiede una vera e propria ricollocazione filosofica dell’errore stesso. Questo significa abbracciare un modello cooperativo, fondato sulla volontà collettiva di collaborare con empatia e sinergia, riconoscendo l’unità di specie come fondamento per il progresso umano.
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